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Estado d’alma

Dentre as coisas que mais tenho esperado

Com coração frio, sentimento descuidado

È ser aquele eu envolvido,

constantemente perseverado

E aqui creio que a dor da espera

O radical viver do certo

Contemplarei bem mais de perto

Quando voltar a certeza, simples quimera

Nesse medo,

o insuportável desejo

De sentir presente o santo espírito

Luz que discerne aparência e verdade

Talvez o reencontre na minha cidade.

Mas por agora conviverei com a dor que espera

Feliz, quem me dera

De ao final ser amor – amado.

Versi di vocazione

Forza stravolgente

Spinta naturale

Apparente accecarsi dello spirito

Risposta al perché esistenziale.

Desiderio d’unità compiuta

Invito alla «pericoresi» vissuta

“Crudele e dolcissimo amore”

Costante timore

L’incontro dell’essere umano-divino

Dilemma ch’è insormontabile mistero

Insopportabile silenzio che comunica

Scelta scatologica del Vero

Il rischio della philia

È interessante vedere come la formazione e l’ambiente sono medesimamente contributi decisivi nella gestione e risoluzione di conflitti.

Però, essendo immerso personalmente in una realtà specifica,come questa di Sophia, non è possibile osservare con distacco (nel senso scientifico moderno) ciò che esiste di chiaramente diverso con altri ambienti.

Impostate queste due premesse potrei dire che questo definito “impegno assunto di reciprocità forte”, osservabile nella vita a Sophia, spinge i suoi coinvolti ad un incontro più fraterno con il diverso. Permette una coscienza “a priori” di che l’altro, anche se tante volte mi ferisce perché diverso da me, in fondo mi vuole bene, è un fratello.

La Christianitas del medioevo è, come abbiamo studiato nel corso di economia, il primo tentativo sociale di vivere concretamente questo amore “agapico”, dopo l’evento di Cristo e l’inizio della chiesa primitiva. Però, come si è poi osservato, questo modo di vivere non è riuscito a mantenersi per molto tempo, perché ogni tentativo di “salvare una realtà” genera quasi spontaneamente la chiusura (philia) in un rapporto tra “uguali”.

Questo vuol dire che, allo stesso tempo che Sophia permette un atteggiamento iniziale già in sé aperto, “risolutivo” in un conflitto, ci si rischia di costruire una realtà omogenea, che impone (pretende) un certo tipo di atteggiamento, senza veramente un rispetto alla diversità.

Vivere qualsiasi realtà con “degli amici” attenua la dimensione di un conflitto, perché quando ci si vuole bene è più facile attuare in modo aperto e fraterno con l’altro.

Invece in altri ambiente le sfide sono altre. La più grande magari è superare la chiusura individualistica verso l’altro, al diverso, con la coscienza e il coraggio di identificare in esso (senza pretendere) un contributo decisivo per la crescita individuale e comunitaria.

Finché Sophia fa uso della formazione “all’unità”, dove quelli che la vivono cercano di mettere in pratica, per mezzo di un rispetto vero e aperto verso il diverso, nel mio parere essa sarà un vero laboratorio per le risoluzione di conflitti. Però, se diventa “philia”, rapporto tra “amici”, perde il suo significato innovatore.

Immergersi nella cultura altrui

La riflessione sulla diversità culturale non è sempre sviluppata attraverso un approccio simmetrico. Nell’Europa occidentale e negli USA il colonialismo culturale per mille anni si è creduto l’unico vero cammino per il progresso dell’uomo.

Però, ciò che la storia testimonia è, altro che uno sviluppo della persona, in tutte le sue molteplicità, è stata realizzata l’assolutizzazione dell’individuo, slegato addirittura della propria cultura e indirizzato ad una “pseudo cultura” basata sulla libertà e i diritti individuali.

Da brasiliano, mi trovo sempre condizionato quando cerco di analizzare la mia cultura. Siamo stati colonizzati dal rifiuto sociale europeo (banditi, indebitati, criminosi) che, nelle sue origine, volevano soltanto estrarre e esplorare le ricchezze del Nuovo Mondo, per arricchirsi individualmente.

Immisurabile le uccisioni degli indigene, degli africani che sono stati fatti schiavi e innumerevoli le occasioni con lo scopo di “silenziare” quel popolo nascente che cercava un’affermazione culturale.

Allora, non si può parlare di cultura, di sviluppo e neppure di conflitto, se non si impara a guardare “nello stesso livello” le altre culture e si cerca di capirle profondamente, scoprendo le sue origini. Nel gestire i conflitti ci sono tantissimi condizionamenti che solo ci rendiamo conto quando usciamo del nostro “quartiere” e ci mettiamo in rapporto vero e profondo con “il diverso di me”, e che perciò mi “ferisce”.

La mia cultura ha imparato a gestire i conflitti in modo pacifico e creativo. Anche se abbiamo diversi scontri per conto della disuguaglianza sociale (anche questa nella radice storica del paese), ma in modo speciale per la mancanza di una radice etica nella sua propria struttura di formazione, siamo conosciuti in tutto il mondo per la nostra generosità, accoglienza e tolleranza ai diversi tipi di cultura.

Quello che magari possiamo portare al mondo è il rispetto alla diversità, l’armonia (non perfetta) tra diverse culture che si mischiano, senza perdere la loro identità originaria, e che si fanno “brasiliane”.

Però, purtroppo, anche questo dato importante della nostra cultura, viene tante volte vissuto in maniera superficiale. Non si va a fondo nella realtà e nei paradossi altrui e così anche la bellezza costitutiva diventa quasi ideologica.

La cultura dell’unità è un invito vero al conoscere profondo (e vero) dell’altro. Non basta sentirsi bene, accolto, rispettato nella diversità. È necessario un incontro vero, comunitario, direi FISICO, tra i diversi, perché i conflitti siano affrontati in modo positivo e come un scambio complementare.

Personalmente sperimento questo nel rapporto d’amore (Eros e Agape) con la mia ragazza. Essendoci di culture diverse (Brasile e Svizzera) abbiamo la sfida costante di crescere insieme in questo scambio pari e rispettoso. Ciò che la cultura dell’unità ci aiuta è nel vedere la difficoltà e i limiti reciproci come un invito a conoscere sempre più profondamente l’altro. Non volendo evitare lo scontro, il conflitto, ma cercando di guardarlo come opportunità vera di complementarità esistenziale.

Però, c’è bisogno di apertura, coraggio, perseveranza virtù (nel senso classico), che si acquistano nell’esercizio costante di camminare verso l’altro.

A valor da desculpa

«Amar tem uma necessária relação com a humildade. Os limites intrínsecos de cada um ajudam a construir uma gradativa consciência da nossa pequenez, condenando qualquer postura de soberba (acreditar que somos maiores do que realmente somos)».

Essa frase sintetiza a minha compreensão atual da importância em “pedir desculpas”, como experiência cooperativa, fraterna.

Defino “cooperação” como “relação baseada na colaboração entre indivíduos ou organizações, na busca de objetivos comuns e utilizando métodos mais ou menos consensuais”. É um ajuda recíproca, oportunidade providencial de construir relacionamentos.

Aceitando “a priori” nossos limites, podemos convidar o “outro” a nos ajudar no “excursus” de crescimento pessoal, ou melhor: sintonizar o nosso EU com os outros; e na consciência das dificuldades e incapacidades que “os outros” têm de nos aceitarem.

Por um longo momento da minha vida fui privado dessa experiência. Na minha cultura familiar os ressentimentos eram resolvidos com “ações positivas”. Não me lembro de sequer uma oportunidade em que, entre nós, alguém dissesse “literalmente” desculpa.

Descobrir a maravilha dessa experiência foi uma grande riqueza para mim. Foi sobretudo aprender a me aceitar limitado e ajudar os outros a, mesmo assim, me querer bem (e eu aos outros, certamente).

A desculpa é a verdadeira antítese da soberba, fundamento também da fé (perdão) pois é na miséria que existe o espaço para o agir participativo do “outro”, sendo “humano” ou o Outro por excelência.

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