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Riflessioni personali sull’origine del male

Oggi ho capito che nel Paradiso non può esserci il male.

La metafora del serpente presente nel racconto mitico della Genesi cristiana non può significare un essere (presenza) ontologicamente cattivo, perché vivente all’interno del “Paradiso dell’Eden”. Ammettere questo sarebbe dire che anche il male arriverebbe al Regno di Dio (nel suo disegno, precedente al peccato).

No! Secondo me il serpente è una dimensione interiore dell’uomo, ogni uomo. Creato e passibile di rinnegare il progetto divino perché è possessore del libero arbitrio.

Essendo libero, l’uomo può capire come vuole la sua “figliolanza divina” ontologica.

Da un lato può voler affermare la propria identità di figlio da solo, cioè, rinnegando il prossimo (le altre creature) e addirittura Dio stesso (patricidio), allontanandosi però di se stesso.

Dall’altro, capendo che la sovranità di Dio è manifestata nel dono totale di sé, posteriore a un necessario affidamento completo adoperato prima, capisce che la nostra identità di figli si dà «nella relazione». Affidamento e dono di sé a/da/in un Altro. “Trinitariamente” guidati (illuminati) dallo Spirito Santo (coscienza profonda interiore).

Da questi complicati e “inesprimibili” passaggi ho capito che il male non c’è come forza motrice nel Paradiso, ma come adesione al desiderio di figliolanza senza la relazione, che scontra profondamente con il disegno divino. È volontà di potenza, di affermazione della propria identità, senza il riconoscimento di una coesistenza necessariamente condivisa.

La voglia di comprensione della propria identità non può annullare l’altro, perché esso è il vero custode della nostra identità. Riconoscere la nostra figliolanza divina è possibile attraverso il principio di fraternità (che ci fa vedere uguali in dignità e perciò co-responsabili della felicità dell’altro – Principi d’interdipendenza e comune destino di Habermas) oppure il principio di paternità condivisa (perché, se siamo fratelli in dignità, abbiamo lo stesso padre). In entrambi la relazione è fondamento identitario.

Concetto d’amarti

Da quel che pensavo esser amor

Mi è rimasto soltanto te!

Fiore raro, sorriso – proiettile

Ma la tua assenza è scombussolante

Nel volerti in ogni istante

Poi, ci sei non essendo

Perché la distanza d’amor tuo

È paradosso e non contraddizione

T’amo sempre,

oltre l’improbabile visione

Insieme, riposo felice

Supero i tanti momenti tristi

Amarti è concetto sensibile.

Amor sophiano

L’amore per te è immanente,

Soggetto e non predicato

ed è platonico non perché vuol falsificare il reale

ma nel “nuos” vuol trovar

il principio che “illumina” il sentimento.

L’amore per te è realtà che legga Cielo e Terra,

Togliendo la nebbia autunnale

Preparandoci l’attesa primavera.

Amore teologico, filosofico, scientifico.

Amor Sophiano.

Frutto della prassi e del profondo pensiero,

In attesa del compimento

Che verrà il prossimo anno.

Attentato

Bomba orologio
pretesa scoppiante
l’amore si cala
realtà soffocante
Voglia feconda
desiderio immenso
strana agonia
sentirti intenso
La attivo urgente
impossibile fermarsi
il tempo scorrente
atteso scoppiare

Divinizzando

T’esorto nell’aprire degli occhi
pur se da tanto non gusto il Pane
T’offro ogni fiacco respiro
Ci sei nelle strette di mani
Sole che illumina, la Sostanza
l’Essente trinitario che infonda speranza
Nell’altro mi ritrovo poi, illuminato
dalle miserie che ormai mi hai perdonato
Mi apro al tuo svelarsi
vivo nella Tua natura apofatica
dinamica non di pensiero ma prassi
amato o amante: vita fantastica!

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