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Il problema dell’uomo di Joseph Gevaert

Il problema dell’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica di Joseph Gevaert

J. Gevaert è stata una meravigliosa scoperta frutto dal desiderio di ricuperare la profonda ontologia relazionale dimenticata nel fare giornalismo contemporaneo.

Da tanto mi vedo ripensando il modo come leggere la realtà ed ho visto che l’antropologia sarebbe un bello punto di partenza, per l’universalità dei linguaggi e per la profonda relazione con le domande filosofiche.

“Il problema dell’uomo” ha segnato il primo bello tuffo in questo universo di riscoprirmi essere umano, nella “tritica” dimensione che coinvolge: me stesso, l’altro e il mistero. L’essere è umano se in sé si esprimono queste tre caratteristiche relazionali.

Una frase che mi ha sconvolto “L’essere in relazione con altri esseri umani viene chiamato una verità fondante dell’uomo” giustifica l’importanza di fare con che i media promuovano questa relazione che può venire in rilievo dall’amore oppure nella sua assenza, negazione.

L’altro mi appare come condizione di appartenenza all’umanità… l’altro è il custode del senso ultimo della mia esistenza.

Io, l’altro e l’Amore (riflessioni sulla prassi delle relazioni)

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L’altro è sempre quel meraviglioso “custode” della mia identità.

Questa frase sentita nel corso di ‘Ontologia della persona’ (uno di quei più interessanti all’Istituto Sophia) mi ha fatto riscoprire una delle tre dimensioni ontologiche dell’amore, raccolte nel modello trinitario, che sussiste nella Vita.

La presenza del prossimo dovrebbe, sempre, ridimensionare la nostra esistenza, capovolgendola pero senza farla perdere l’essenza… cambiare rimanendo se stessa (R.Guardini – Opposizione polare).

Quest’aspetto io, concretamente, posso sperimentare nel rapporto “di coppia” dove, dopo quasi due anni, l’amore acquista nuovi volti, colorati da altri colori, ma che poi è un continuo richiamo all’Amore fondamentale (Agape) che ci ha fatto incontrare per la prima volta quasi otto anni fa e che poi ci serve di guida, in questo nuovo “stato”, per rincontrarci quando siamo distanti (fisico o spiritualmente).

La bellezza dello scoprire l’altro come custode e “soggetto ridimensionante” della mia identità e la possibilità di capire tutto questo con “l’intelletto” (nel senso platonico, di passaggio della dianoia a nous) mi aiuta dopo a contemplare la presenza Vera di Dio nella mia vita – un’altra dimensione trinitaria di essa – e sentire una felicità grande, forte, risposta a ogni dubbio, ogni silenzio.

In seguito mi vedo trasportato a un secondo passo: vedere che la felicità (come scoperta della mia identità relazionale) sta anzitutto nell’amare, considerando poi la reciprocità (perfezione dell’amore) come dono che avviene dalla libertà dell’amato, cioè, seconda tappa dell’amore che dovrebbe essere a priori gratuito.

Questo ragionamento mi aiuta a costruire i fondamenti delle mie azioni e stupirmi della grazia di poter studiare a Sophia, dove ogni risposta (concettuale) personale alle domande interiori può servire di camino, risposta, alle domande culturali del mondo contemporaneo.

L’amore trinitario diventa in me quel Amore che si svolge nel mistero, attraverso il rapporto con il prossimo e dentro di noi, da individui.. Amore infinitamente dinamico, come la dialettica, parimente conflittuale, pero senza essere distruttivo. Perché se l’Amore non diventa vero incontro “identitario” (tra custode e custodito) non è possibile riconoscerci fratelli, uguali in dignità, ma distinti nei percorsi scelti verso la Felicità.

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Perché studiare all Istituto Sophia ?

Durante il Congresso di Unità Arcobaleno e Bianchi, svolto a Castel Gandolfo l’ultimo fine settimana, alcuni studenti dell’ Istituto Sophia hanno cercato di testimoniare con esperienze la specificità dello studio immedesimato nella Cultura dell’Unità.

In questi quattro anni di vita dell’Istituto mi sono accorto che ancora esistono tanti pregiudizi – dalla parte di quelli che sono all’interno del Movimento del Focolari – frutto dell’ignoranza di cosa si fa a Sophia, tenendo conto della sua proposta specifica come scuola di studio e di vita.

Personalmente tanti di noi VIVIAMO nei nostri ambienti di studio e lavoro cercando di portare questa “nuova cultura”, detta “dell’unità”, però sembra che ancora pochi si sono accorti che esiste già un posto in cui si trova (e si costruisce) i fondamenti teorici che giustificano questa novità.

Dall’altra parte c’è anche la concezione personale di cosa significa l’Ideale dell’unità: Ci si può vedere Chiara Lubich «soltanto» come madre spirituale, strumento portatore di un Carisma che rende possibile un incontro individuale con Dio, cambiando la vita di ogni «figlio». Però è possibile anche adoperare un passaggio dall’ambito individuale a quello collettivo, vedendo lo stesso Carisma anche come possibilità di riposta culturale, capace di rinnovare la politica, l’economia, la comunicazione, il pensiero teologico, filosofico e ecc.

Sembra evidente che entrambi concezioni sono essenziali e complementari, ma studiare a Sophia è per me credere nel «progetto collettivo» che si nasconde dietro il Carisma dell’Unità, “incarnato” nell’esperienza di Chiara Lubich.

L’Istituto Universitario Sophia è luogo di studio. Di confronto culturale tra scuole di pensiero e la prospettiva “Chiariana”, che riprendendo il testamento di Gesù “Chi tutti siano uno” cerca di riproporlo come dinamica spirituale e principio sociale.

Chi crede in questo progetto devi venire a Sophia. Soprattutto per ridimensionare i fondamenti della propria formazione e poter suggerire nel proprio ambiente di studio/lavoro quel “nuovo”, assai atteso nel nostro mondo assetato di risposte, che noi, concretamente, lo troviamo quando viviamo “per l’unità”.

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