Recentemente ho finito di leggere Il concetto di Dio dopo Auschwitz[1] del teologo tedesco di origine ebrea, Hans Jonas.
L’opera breve di lettura “teologico – filosofica” cerca di ripensare Dio dopo la tragedia dell’Olocausto.
Per capire il significato della sua opera e affrontare insieme a Jonas il “nuovo” concetto di Dio emerso dopo Auschwitz è necessario, anzitutto, fare una doppia differenziazione che delinea la frontiera fra ebraismo e cristianesimo.
Prima di tutto il modo come Dio si manifesta nella storia. Mentre per i cristiani il luogo di incontro definitivo con Dio si darà nella vita eterna, per gli ebrei Dio è, innanzitutto, Signore della storia, che agisce direttamente in essa, intervenendo (e sopratutto punendo) se e quando necessario.
Dopo è importante non confondere l’ontologia di Dio, cioè, la sua essenza, che è intrinsecamente onnipotente, con il suo agire storico. Ontologicamente Dio sarà sempre onnipotente, ma con la creazione Lui concede, seguendo il pensiero di Jonas, una parte della sua potenza al Creato, manifestandosi poi con e attraverso esso.
Fatte le premesse ci si può entrare nella tesi del libro dove il dramma dell’Olocausto mette in discussione la visione ortodossa ebrea del Dio onnipotente “profondamente buono e conoscibile (comprensibile)” e un Dio che “ha rinunciato la sua potenza” “concedendo all’uomo la libertà”.
Interessantissimo il ragionamento logico di Jonas che genera il dilemma sull’onnipotenza di Dio e il libero arbitrio del Creato. Un Dio onnipotente nel suo agire nella storia – che interviene per esercitare la Sua volontà sul mondo – non permetterebbe che l’uomo fosse veramente libero di scegliere fra bene e male, essere vero co-creatore della storia[2].
Alla luce dell’evento di Auschwitz il concetto di Dio basato sulla Sua onnipotenza cambia. L’onnipotenza nell’agire storico di Dio viene condivisa con il Creato che passa ad essere capace di determinare gli avvenimenti, condizionandoli alla sua scelta.
Perciò Auschwitz non può essere vista come punizione del Dio onnipotente agli uomini, ma il risultato della scelta drammatica del Creato per il male, perché se Dio è veramente buono, non permetterebbe la più grande disumanizzazione della storia[3].
Per Jonas, il silenzio davanti all’Olocausto è manifestazione della “impotenza” di Dio, che rendendo l’uomo veramente libero, “non può” intervenire direttamente quando l’uomo cade nell’errore[4].
Quello che Jonas opera, da teologo-filosofo ebreo, secondo me, è un vero incontro concettuale del Dio cristiano e quello ebreo. Come nel cristianesimo Dio è umanizzato, nella misura in cui è “sofferente, divenente e che prende cura” del Creato[5].
Per i cristiani Dio si incarna nel Cristo e attraverso Lui, nel Suo abbandono e risurrezione, tutta la storia viene resinificata, nel passato, presente e futuro. In questo modo anche il dramma della guerra e ogni scelta del male sono trasformati, per mezzo della manifestazione di Dio (non sempre visibile in maniera diretta), in un bene maggiore generando anche la coscienza della potenza degli uomini, tanto per il bene e per il male.
Un Dio che decide donare la sua onnipotenza storica non lascia però di agire nel mondo, ma attua in nuovi modi. È il Dio della comunione, condivisione, co-creazione, cioè, di un operare INSIEME a noi, lasciandoci però liberi per esercitare la nostra volontà.
Si potrebbe poi comprendere, a partire della lettura de Jonas, che davanti al male, come nel caso dell’Olocausto, noi dobbiamo chiederci non “dove è Dio” ma “cosa abbiamo (ognuno) fatto affinché il male sia emerso”.
Con la creazione, l’azione storica di Dio si dà in maniera molto più silenziosa, permettendo addirittura che gli uomini ignorino la Sua presenza, per non condizionarli, rendendoli veramente liberi.
[1] H.Jonas. Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Il Melangolo, Genova, 2004.
[2] pp.31-32.
[3] pp.34.
[4] pp.35.
[5] pp.27-30