Sophia mi ha aggiornato la concezione dell’Amore.
Durante grande parte della mia vita “cosciente” vedevo nel Suo volto divino quel «modello» da specchiarmi, ma fondamentalmente “separato” di me.
Qua, attraverso lo studio, ho conosciuto in profondità i tre volti costitutivi e complementari dell’Amore: Eros, Philia e Agape.
L’amore di Dio è poi quel ontologicamente agapico perché non ha in sé, essenzialmente, né la dimensione esclusiva, neppure è rivolto soltanto agli uguali. L’Agape, secondo me, è tradotto socialmente con il termine “fraternità” perché si dirige ad un altro che esiste, indipendente di me, che io non ho scelto l’esistenza e che essendo veramente Altro può farmi male (pure senza volere).
È questa – e qui viene la mia conclusione – la dimensione dell’Amore che dovrei incarnare attraverso i miei atti, però l’umanità tante volte mi spinge ad amare soltanto «quella» che amo in maniera esclusiva oppure gli amici.
Tuttavia, attraverso quest’esperienza – di praxis “nousiologica”- mi sono reso conto che l’Amore divino non è soltanto modello, cioè qualcosa al di fuori di me, ma è anche sorgente che mi permette oltrepassare i limiti umani, l’assenza di voglia di dilatare il mio amore verso gli altri.
L’Agape allora diventa forza interiore, spinta costitutiva che mi butta verso qualcosa sconosciuta e mi fa scoprire un’altra dimensione di me, che solo questo specifico amore sembra rendere possibile.