Non sono mai riuscito a credere che un giorno avrei conosciuto Dio nella scienza, con lo studio. Però, mi sentivo [come lo sono sempre culturalmente] spinto a buttarmi e fidarmi da quel misterioso cammino (sfida) che mi si apriva.
Tuffandomi nella realtà razionale tra il continuo scontro tra metafisica e scienza, ho potuto conoscere un personaggio che ha chiuso quella che considero la triade degli illuminati della storia dell’umanità *: Galileo Galilei.
E quello che poi, mi stupiva era che, quanto più guardavo Galileo, la scienza e la concezione di uomo attraverso essa, più paradossalmente contemplavo Dio e mi meravigliavo: con la sua metodologia ci invita liberamente a riconoscerLo nella natura (esperienze sensibili) e poi testimoniarLo (necessarie dimostrazioni).
Il divino, dopo il mio incontro con Galilei, non è più una realtà metafisica personale, che si esaurisce in ciò che “io credo”, ma «è» nella misura in cui si rinnova in me, nel movimento dialogico di “riconoscimento” e “testimonianza”.
Ho scoperto che la visione galileiana dell’universo che mette in moto il protagonismo esistenziale dell’uomo ed ha illuminato l’umanità post medioevale, ci permette oggi di guardare il mondo ampiamente. Il nostro errore, certamente, è assolutizzare la dimensione scientifica, unidimensionale e dimenticarci la nostra molteplicità non quantificabile.
*Aristotele, Paolo di Tarso e Galileo Galilei